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L'atleta paralimpica Giusy Versace madrina di nuova mostra contro la violenza sulle donne

Il tema della violenza sulle donne torna ad essere centrale, questa volta all’interno della mostra A Different Point of View, il progetto fotografico realizzato dal designer sardo con la passione per la fotografia Antonio Sotgiu e che verrà inaugurata sabato 17 settembre allo Spazio Kriptos di Milano per mano di Giusy Versace, madrina dell’evento.

La mostra, che sarà visitabile fino al 30 settembre, rientra nell’ambito della rassegna annuale di fotografia d’autore ‘Photofestival’ in programma a Milano e in diverse altre città lombarde dal 14 settembre fino alla fine di ottobre. Tutte le opere di Antonio Sotgiu saranno in vendita.

Le foto di Giusy Versace e della fotografa Mjriam Bon

‘A Different Point of View’ ospiterà anche alcuni scatti de ‘I Muri del Silenzio’, il progetto ideato 2019 proprio dalla Versace e dalla fotografa Mjriam Bon, come strumento di denuncia verso ogni forma di omertà e nel quale lo stesso Sotgiu è stato uno dei volti.

“Antonio Sotgiu, oltre ad essere un amico – racconta Giusy Versace – è un uomo molto sensibile, che ha sempre fatto sentire la sua voce contro la violenza sulle donne, prendendo parte diverse iniziative da me organizzate. Oltre ad aver prestato il suo volto per ‘I Muri del Silenzio’, ha anche realizzato una bambola per ‘The Wall of Dolls’ l’installazione ideata da Jo Squillo, e questa volta ha deciso di donare parte del ricavato della vendita delle sue opere ad associazioni che sostengono donne vittime di violenza. Faccio un grande in bocca al lupo ad Antonio per la sua prima mostra”.

La Mostra ‘A Different Point of View’

L’intero lavoro che Antonio Sotgiu presenta è incentrato sul tema della femminilità. L’autore, nella consapevolezza di quanto sia indispensabile affrontalo da ogni punto di vista ma anche dell’importanza che riveste quello legato all’immagine, lo indaga in modo volutamente originale, usando come strumento della sua visione il cellulare , strumento tanto inflazionato e mal adoperato, un po’ come fece Andy Warhol con la polaroid, facendo dialogare fra di loro diversi aspetti intrecciati in un andamento suggestivo che richiede al visitatore di lasciarsi guidare per attraversare un percorso pensato in un consapevole crescendo.

Si parte da una serie di fotografie accattivanti e attentamente studiate che si soffermano su un tipo di donna – quella esistente solo nel fertile immaginario generato dagli stereotipi della comunicazione – e che per questa ragione è quindi sostanzialmente irreale. Abituati come siamo a esserne circondati, ci suggerisce l’autore, fatichiamo a distaccarci da quel tipo di immagine e quindi il passaggio successivo deve creare una netta frattura con la prima portandoci all’interno di una dimensione dichiaratamente surreale che Antonio Sotgiu definisce come “misurazione”.

Qui compaiono protagonisti fascinosi che hanno sempre occupato un posto importante nel mondo dell’arte da Man Ray a Giorgio De Chirico, Caravaggio: sono i manichini che appaiono nella loro doppia natura legata alla verosimiglianza (come il Canone di Policleto riportano l’ideal tipico delle proporzioni armoniche di un corpo) e a quella finzione che è o dovrebbe essere implicita in ogni rappresentazione. Le due fasi del racconto fotografico ora si contrappongono ma senza annullarsi, si inseriscono anzi in un gioco dialettico da cui si genera per sintesi il punto di arrivo, quello dell’autenticità dove compare finalmente la donna reale con le sue posture non studiate, con le sue mani espressive, con quello sguardo che ora si cela all’ombra e ora guarda in macchina con antica certezza.


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