Cronaca

Spietati e crudeli, arrestati i rapinatori con la maschera: volevano uccidere un carabiniere

In manette sono finiti due fratelli e un loro amico, tutti ventenni. Ecco come agiva la banda

I tre rapinatori

Ogni colpo riuscito, alzavano il tiro. Ogni bottino “conquistato” lo investivano in droga e armi, necessarie per accrescere la loro pericolosità e il loro “prestigio”. Un vero e proprio tormento, questo, per i tre della banda, che sognavano tra di loro di “finire” sui giornali per aver ucciso un uomo delle forze dell’ordine o di morire in uno scontro a fuoco. E ad uccidere un militare, nel novembre del 2015, ci erano andati davvero vicini, ma poi a fermare il loro folle delirio di onnipotenza ci hanno pensato i carabinieri, che li hanno trovati e incastrati. 

Carriera finita per i rapinatori della “banda della maschera”, i tre malviventi che in meno di un anno hanno colpito venticinque volte - quasi sempre banche -, rubando oltre duecentomila euro

In manette sono finiti tre milanesi, tutti residenti a Quarto Oggiaro: Yari Viotti e suo fratello Claudio, di ventisei e ventotto anni, e Davide Graziano, venticinque. Per loro le accuse sono, a vario titolo, di tentato omicidio, sequestro di persona, rapina, furto e ricettazione.

I carabinieri del comando provinciale di Milano li hanno fermati a metà dicembre del 2015 - con le iniziali ipotesi di reato di "detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e alterazione e detenzione di armi clandestine", ma negli ultimi giorni, dopo una lunghissima indagine, hanno contestato loro in tutto venticinque rapine: ventidue a istituti di credito, due a supermercati e una a una gioielleria. Quando i militari hanno fatto scattare le manette, la banda aspettava una mitraglietta Uzi ed era pronta a colpire ancora, così come aveva fatto già tante volte nel giro di dieci mesi. 

Per i tre le rapine erano diventate un chiodo fisso, tanto che tra di loro non parlavano d’altro, se non del prossimo colpo da portare a termine. E, infatti, dopo un inizio “difficoltoso” - qualche rapina fallita -, la banda era diventata spietata ed efficace, con un copione ormai sempre identico. 

Maschere “da teatro” in lattice sul volto - più difficili da “individuare” per la vittima rispetto a un passamontagna -, facevano irruzione negli istituti di credito con le armi in pugno e poi fuggivano a bordo di moto di grossa cilindrata rubate. E nessuno doveva mettersi tra loro e libertà, come hanno mostrato due di loro - i più giovani - il 17 novembre del 2015 sparando sei colpi di pistola contro un carabiniere - colpito al fianco - che gli aveva intimato l’alt dopo l’ennesimo colpo

Video | Così agiva la banda della maschera

Proprio dopo quegli spari - che giustificano l’accusa di tentato omicidio -, due della banda commentavano così tra loro al telefono, mentre erano intercettati: “Sei botte gli ho tirato. Avevo già deciso. Il primo - carabiniere - me lo secco al volo e l’altro lo piglio a tiro, vaffanculo”

A prendere loro, invece, sono stati propri i militari, che in un box della banda hanno trovato due pistole calibro 9, un fucile calibro 12 a canne mozze, novecento grammi di cocaina e ottocento di marijuana - parte dei soldi rubati erano investiti proprio in droga -, maschere, giubbotti antiproiettile e moto rubate. A casa di uno dei tre, che sul proprio profilo Facebook si fotografava, fiero, con una pistola in pugno, i militari hanno anche sequestrato quarantamila euro in contanti. 

“Erano spietati - ha assicurato il comandante provinciale dei carabinieri, Canio Giuseppe La Gala -. Ogni volta che portavano a termine una rapina si gasavano tra di loro e studiavano come aumentare il proprio livello di pericolosità”.  

“È solo un caso che non abbiamo dovuto piangere un uomo dei carabinieri - ha ammesso il procuratore presso il tribunale di Milano, Riccardo Targetti -. Ed è per questo che siamo felici che il Gip ha accettato il reato di tentato omicidio”. 

“Sognavano di morire dopo un conflitto a fuoco - ha ricostruito Michele Miulli, Comandante del nucleo investigativo di Milano -, o di finire sui giornali per una sparatoria in cui avevano ucciso un carabiniere”.

Intanto, facevano la bella vita, tra abiti firmati, auto nuove - un Suv è stato sequestrato - e lunghe serate al casinò. Uno di loro si era tatuato sulla tempia "A capa mia non è bona" - "la mia testa non è buona" - e in pieno stile "Gomorra" - la serie tv che tanto li affascinava - prima dei colpi si caricavano ascoltando musica neomelodica. Il tutto mentre aspettavano di finire sui giornali. Ma poi alla fine, più semplicemente, sono finiti in manette. 
 


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